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Chiacchierando con Tony di Corcia

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Chiacchierando con Tony di Corcia

Nel mondo del lavoro, si sa, non si incontrano spesso persone veramente preparate e oneste, in particolare poi nel settore della comunicazione dove tutto sembra essere davvero etereo e precario e dove la gavetta e un'attenta preparazione lasciano lo spazio, il più delle volte, all'improvvisazione....

Casualmente leggo di una nuova pubblicazione di Tony Di Corcia e improvvisamente mi viene alla mente un bel ragazzo con gli occhi vivaci e con quella volontà tipica solo di chi nutre profonda passione e rispetto per quello che fa.

Ho incontrato più volte Tony nel corso del tempo e spesso in veste ufficiale di giornalista quando promuovevo alcuni dei miei progetti. Ricordo un giornalista attento, curioso e scrupoloso, ma ciò che mi ha sempre colpito di Tony è il rispetto, non solo per il suo lavoro, ma anche per i colleghi, un rispetto così raro, ahimè, in questo mondo frettoloso e distratto.

Il Tony di oggi è un Tony di gran lunga più maturo professionalmente e ricco di esperienze nuove da raccontare...penso di contattarlo e così con estrema tranquillità e semplicità incoraggiati da un clima più freddo del solito intrecciamo un vero dialogo virtuale e con piacere scopro che Tony è rimasto il bravo e meticoloso direttore di Viveur (Free press locale) che ho conosciuto tempo addietro, solo più cresciuto professionalmente. Grazie Tony ;)

S: Ognuno di noi inizia un percorso intellettuale e professionale e spesso non si sa dove si può arrivare, quando Tony da giornalista diventa scrittore?

T: Nel 2010, quando ho pubblicato il mio primo libro intitolato “Gianni/Versace: lo stilista dal cuore elegante”.

Lavoravo per Mediafarm, un gruppo di testate che comprendeva anche la Utopia Edizioni. Tre anni prima, il mio editore mi disse di essere alla ricerca di un’idea editoriale per rilanciare le sue pubblicazioni. Gli proposi una raccolta di interviste a personaggi del mondo della moda e dello spettacolo legati, in qualche modo, a Gianni Versace.

Accettò con entusiasmo e mi permise di debuttare come scrittore. Gianni Versace - Il libro, che aveva una prefazione di Oliviero Toscani e immagini inedite di Gian Paolo Barbieri, ottenne un’attenzione che solitamente non viene riservata alle piccole case editrici.

Ma, in fondo, si trattava di realizzare interviste, dunque di continuare a fare il mio mestiere di giornalista. L’opportunità di diventare scrittore mi è stata offerta nel 2012 dalla casa editrice torinese Lindau: l’editore mi ha chiesto una biografia di Versace in cui ho dovuto misurarmi con la narrazione, passando da un racconto polifonico a una biografia completamente affidata alla mia voce. Una responsabilità notevole: considero le biografie la grande fabbrica delle resurrezioni umane, e hai la possibilità di riportare in vita un personaggio affascinante.

Il libro ha ricevuto recensioni in tutto il mondo, anche perché la prefazione era firmata dallo storico avversario di Versace, Giorgio Armani. Dopo quasi tre decenni in cui si sono sfidati creativamente e verbalmente, il Signor Armani ha impreziosito il mio libro dedicando al suo collega un ricordo nobile e rispettoso: mi piace pensare che i due antagonisti abbiano finalmente fatto pace, e che lo abbiano fatto proprio sulle pagine del mio libro. Questa biografia continua a darmi soddisfazioni a distanza di mesi dalla sua uscita: la Ares Film, società del gruppo Mediaset, ne ha acquistato i diritti per trarre un film per la televisione su Versace proprio dal mio libro, e l’editore polacco Rebis ha appena pubblicato la prima traduzione estera del mio lavoro. Quest’anno, invece, la Lindau ha pubblicato due nuovi libri: uno sulla storia del marchio Burberry, fondato nel 1856 e ancora amatissimo in tutto il mondo, e una raccolta di interviste sul couturier Valentino Garavani.

S: Varie possono essere le passioni e le esperienze che ci aiutano a delineare meglio le nostre inclinazioni professionali …Puoi rivelarci l’esperienza più costruttiva per il tuo percorso professionale?

T: Ho iniziato a lavorare come giornalista 23 anni fa, all’età di 15 anni. Non saprei scegliere un’esperienza sola: ho avuto collaborazioni molto formative, e incontrato personaggi estremamente importanti che mi hanno permesso di misurarmi con le mie capacità. Penso al mio incontro con Alda Merini: ho imparato più in quelle quattro ore che in quattro anni di lavoro. Però, se proprio dovessi indicare un’esperienza, sceglierei la direzione del free press Viveur: “inventare” un giornale diverso ogni settimana è una palestra incredibile, hai numerose responsabilità ma anche dei margini creativi incredibili. Io, poi, ero supportato da un gruppo di redattori e collaboratori che ha creduto nella mia visione e mi ha aiutato a raggiungere ottimi risultati. Era bellissimo, il nostro giornale.

S: Da Versace a Valentino…Biografie di personaggi che hanno segnato profondamente un’epoca dorata per il made in Italy nel mondo, quando nasce e come si sviluppa la tua passione per l’alta moda?

T: Intorno ai 15-16 anni mi sono appassionato alla fotografia. All’epoca, i fotografi più celebri lavoravano soprattutto per gli stilisti: erano i primi anni Novanta, l’epoca delle top model, e potrei dire che chi lavorava davanti e dietro l’obiettivo mi ha trascinato in questo universo magnifico, che si reinventa continuamente e riesce a descrivere i mutamenti della nostra società con incredibile precisione. Non amo soltanto l’alta moda, ma tutto ciò che è arte, espressione. Amo i talenti, amo coloro che hanno qualcosa da dire e lo fanno in modo originale. In questo senso, gli stilisti si confermano degli artisti eccezionali. E si sono rivelati dei perfetti portavoce del nostro gusto, del nostro saper fare e della nostra creatività a livello internazionale. Mi sembra un motivo sufficiente per raccontarli, e celebrarli.

S: Cosa diresti ad una fashion addicted che resta imprigionata nell’immagine da trasmettere agli altri in una società “ferita” dalla crisi economica e non solo, come quella attuale?

T: Mi limiterei a far notare che la moda è un gioco, un piacere, e non può invadere ogni pensiero trasformandosi in un’ossessione. Là fuori c’è un mondo sempre più difficile, prenderne coscienza sarebbe opportuno. Non amo chi si limita a un solo linguaggio, a una sola passione, trasformando questo interesse in una – appunto – addiction. E questo a prescindere dal settore di riferimento. Chi parla solo di politica, o solo di calcio, o solo di moda, in genere non ha molto altro da dire.

S: Libri per raccontare o per essere venduti?Quanto la comunicazione si fa utile e indispensabile per non dimenticare?

T: Libri per raccontare, assolutamente. Se scrivessi per diventare milionario firmerei storie come quella che rese celebre e ricchissima Melissa Panarello o una certa quantità di sfumature di grigio. La comunicazione è uno strumento indispensabile per non dimenticare e nutrire la nostra memoria. È per questo che, quando racconto il lavoro di uno stilista, descrivo minuziosamente il periodo storico che lo ha visto in attività: è un modo per ripercorrere le conquiste sociali, i mutamenti del costume, gli episodi storici che hanno influenzato le nostre vite. Se dovessi scrivere solo di vestiti sarebbe una noia mortale, per me e per chi mi legge.

S: Le biografie raccontate dai libri e poi prestate alla cinematografia riescono a trasmettere lo stesso fascino storico o rischiano di uscirne a pezzi?

T: Solitamente, la trasposizione filmica di un libro delude i lettori. Tuttavia, mi auguro che esistano delle eccezioni a questa regola, visto che un mio libro diventerà un film per Canale 5. Spero che non si tenda all’agiografia, da un lato, né all’amplificazione “fictional”, dall’altro. Io ho cercato di rispettare Gianni Versace e di raccontarlo attraverso il suo lavoro, le sue intuizioni, prendendo volutamente e con convinzione le distanze da dicerie, gossip, congetture come quelle che sono state costruite intorno alla sua scomparsa.

S: Nell’era del web sociale, su che livello riesce a collocarsi la scrittura tradizionale?

T: Mantiene il suo fascino, e la sua importanza. Non faccio differenza tra web e carta, tra virtuale e reale. Distinguo solo le cose scritte bene da quelle che non lo sono, e le pagine che mi emozionano da quelle che mi lasciano indifferente. Il supporto conta meno, quando c’è della sostanza.

S: Ci puoi raccontare un episodio in particolare che hai vissuto durante la stesura dei tuoi libri?

T: Me ne vengono in mente tanti. Penso a Gian Paolo Barbieri, che per il primo libro su Versace mi ha aperto le porte del suo immenso e magico archivio, permettendomi di mettere le mani tra fotografie che sono rimaste nella storia: ho rivisto top model e attrici, ritratti di Audrey Hepburn e campagne pubblicitarie per Ferré e Valentino… Oppure all’incontro con Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, direttori artistici della maison Valentino: era un caldissimo pomeriggio romano, loro avevano un’infinità di impegni, ma hanno voluto trovare del tempo per incontrarmi e offrire il loro contributo al mio libro. Eravamo nella sala più bella e maestosa di Palazzo Mignanelli, in un luogo mitico da cui sono passate imperatrici e regine, Jackie Kennedy e Liz Taylor, e noi chiacchieravamo e ridevamo come vecchi amici, con naturalezza.

S: Come ha recepito l’ambiente della moda e del fashion le tue biografie di personaggi e situazioni simili, ma diverse tra loro?

T: Molto bene, e questo è fonte di notevole soddisfazione per me. Quando esce un mio libro, ricevo messaggi da parte dei lettori che lo hanno apprezzato e ripagano gli sforzi e le tensioni che hanno preceduto la sua pubblicazione. Ormai vengo accreditato come fashion biographer, proprio per questa propensione. Naturalmente, ci sono due categorie di lettori che mi procurano un orgoglio speciale. I primi sono coloro che non appartengono al fashion world e non sono particolarmente appassionati di moda: se riesci a emozionare un “profano”, puoi ritenerti doppiamente soddisfatto. E poi ci sono le persone che hanno conosciuto il personaggio a cui è dedicato il libro, le uniche che possono convalidare la bontà della tua ricerca. In questo senso, non dimenticherò mai il calore, l’entusiasmo, il sostegno e l’apprezzamento che Santo Versace mi ha riservato sin dal primo libro che ho scritto su suo fratello Gianni. Il fatto che abbia voluto prendere parte a delle trasmissioni televisive insieme a me, come quando partecipammo a “Uno Mattina”, proprio per affermare che nessuno aveva mai descritto meglio la personalità di Versace, è valso per me più di cento premi letterari.

S: Quale messaggio vorresti dare ai lettori di un lyfe style blog?

T: Consiglierei di distinguere tra chi fa informazione e chi si limita a riportare foto o testi presi altrove. Il web è diventato il rifugio di tutti gli adepti alla setta, popolosissima, del “copia e incolla”. Vengo da un’altra generazione, quella che le cose le scriveva di proprio pugno. Se ti limiti a copiare qualcun altro, significa che non hai nulla da dire. E se non hai nulla da dire, perché dovrei visitare proprio il tuo blog? In questo Life style blog, al contrario, mi sono trovato perfettamente a mio agio. Ci tornerò presto e spesso come lettore!

 

| Categoria: Una finestra sul mondo, Caffè letterario | Tags: letture, Tony Di corcia | Visite: (994) | Indietro

 

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