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Una nota stonata a Sanremo

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Una nota stonata a Sanremo

Il festival di Sanremo è solito trascinare con il suo inizio critiche e complimenti, in particolare quest'anno condividerne alcuni tratti diventa necessario ed opportuno: con il festival si torna a parlare di musica e non solo e in un momento sociale così fragile dove la pandemia non cessa di esistere, dobbiamo tenere ancora più alta l'attenzione per la vita e tutte le sue sfumature.

Io sono molto contenta che si sia deciso di portare avanti il progetto dell'evento televisivo Sanremo: distrarsi ed emozionarsi fa parte della vita, oggi più di ieri si sa, lo spettacolo serve soprattutto a questo. Chi regala un sorriso attraverso la propria professione riveste un ruolo sociale inevitabilmente di rilievo e oltre a tener vivo se stesso, mantiene viva la missione aulica dell'arte da sempre vero trait d'union tra l'uomo e il cielo.

Del festival non si può non apprezzare ogni cosa quest'anno per via anche dello sforzo morale e professionale così difficile da affrontare in tempo di pandemia. Una piccola nota stonata, però, come professionista donna non posso non ritrovarla in un sicuro seppur ingenuo dire da parte di una professionista ospite della trasmissione, la brava e bella direttrice d'orchestra Beatrice Venezi.

Mi ha colpito il post di un'altra brava e bella direttrice d'orchestra Gianna Fratta, di cui condivido ogni singola frase per il profondo significato che ne deriva e che ha rispecchiato il mio stato d'animo nell'attimo che ho seguito l'intervento di Beatrice attraverso la tv. Nessun intento di polemica, nessun altro intento se non quello di correggere quella che sembra chiaramente una nota assai stonata per tutte le donne che quotidianamente combattono per affermare la propria professionalità in una società che apparentemente sembra aprire loro ogni porta d'ingresso. E' più di quello che sembra.

Condivido appieno questo post a firma di Gianna Fratta perchè credo sia un'opportuna sottolineatura: c'è molta verità spesso trascurata anche dalle donne stesse. Quando ci si rivolge ad una platea così numerosa ogni dettaglio va sempre ponderato... amaramente noto che se non sono gli uomini a sbagliare, sono le stesse donne a fare autogol!

IERI SERA A SANREMO UN SALTO INDIETRO DI 50 ANNI PER TUTTE LE DONNE E GLI UOMINI DI QUESTO PAESE E UNO SCHIAFFO IN FACCIA ALLE TANTE CHE SI SONO BATTUTE E ANCORA SI BATTONO PER LA PARITÀ.

Amadeus la chiama direttrice, essendo una donna, e lei lo corregge con direttore.

Ecco come distruggere in un secondo, davanti a milioni di italiani, il cammino lungo e spesso tortuoso di migliaia di donne. "La mia professione ha un nome ed è direttore": ecco, ancora, come inanellare in una frase parole, perchè di concetti non mi pare opportuno parlare, in grado di ignorare contemporaneamente grammatica, lingua, processi, percorsi di decenni.

Su Rai Uno si veicola, in diretta, in prima serata, un messaggio pericoloso e diseducativo nella forma e nei contenuti, davanti a milioni di giovani.

Già li sento i vari "i problemi sono ben altri", "pensate ai contenuti", "le lotte non sono queste", "ministra è cacofonico", "il ruolo non ha sesso". Ci combatto da una vita e grazie alle mie lotte di direttrice d'orchestra e alle lotte di tutte quelle prima di me, la signora di ieri può stare su un podio; cosa impensabile fino a qualche decennio fa.

Ma torniamo alla nostra lingua, a come, se ce ne fosse bisogno, può essere modificata per come si modifica la realtà, a come può diventare strumento di emancipazione, di cambiamento, di parità.

Riflettevo, ad esempio, sul fatto che nessuna SARTA si sognerebbe di dire “scusi, mi chiami SARTO, lo preferisco”, mentre ancora esistono avvocate, direttrici d’orchestra, ministre che rivendicano il cosiddetto “maschile professionale”, retaggio di una sottocultura che degrada il femminile.

Non è che siamo più autorevoli, credibili, competenti se ci facciamo chiamare col maschile, siamo solo meno consapevoli, dunque più insicure. Strano, poi, che più il lavoro è figo, altolocato, più numerose sono le donne dei no, scusi, preferisco ministro, prego, mi chiami ingegnere, per cortesia, direttore, per carità, avvocato.

Non è una rivendicazione femminista la mia, forse è una questione di politica di genere, ma soprattutto è una questione di consapevolezza. Non è una polemica o una battaglia sessista, tanto meno una recriminazione, è l'italiano, è la nostra lingua e come va usata, come, eventualmente può essere anche modificata con i cambiamenti sociali (ma non è questo il caso, perché il femminile di direttore c’è e può e deve usarsi).

>Che avrebbe potuto fare Amadeus? Se una ti chiede di chiamarla direttore devi chiamarla direttore! Eh, no, non è che se ti chiedo di chiamare l'orchestra televisione la chiami così! Mi sarei aspettata da Amadeus un bel "guardi, io la chiamo per come devo, per come si deve, per come la nostra lingua richiede, per come è corretto per lei e per tutte le donne".

 

Almeno lui poteva. Da lei, invece, evidentemente non ci si poteva aspettare di più.

I tempi sono maturi, anzi marci! Non sentiamoci più fighe a farci chiamare avvocato o direttore, che rischiamo solo di passare per persone che hanno bisogno di sentirsi “maschi” per essere considerate brave, nel migliore dei casi, per ignoranti, nel peggiore.

E con noi chi ci asseconda.

Il cambiamento parte da noi!  Dalle donne e dagli uomini capaci di cambiare il mondo. Dalle direttrici e maestre d’orchestra che sanno di esserlo! Da chi non vuole lasciare il pianeta che ha trovato, ma cambiarlo in un mondo migliore e più giusto per tutti. Un mondo in cui la parità viene anelata ad ogni livello, in ogni modo, con ogni mezzo e il combattimento alle disuguaglianze, intolleranze, discriminazioni altrettanto."

Credits: immagine d'apertura tratta dal profilo facebook di Gianna Fratta

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